15-04-2020 | di COOPI
Covid-19: l'impegno delle persone di COOPI
“Adesso resto a disposizione. Coprirò i turni dei medici che finalmente potranno godere di un po’ di riposo, dopo la grande ondata da Covid-19”. A parlare è Claudio Ceravolo, 72 anni, presidente di COOPI, per trent’anni in servizio presso l’Ospedale di Crema, dove ha ricoperto il ruolo di responsabile del centro oncologico, in pensione dal 2013.
“Dal 5 al 19 marzo, ho lavorato tutti i giorni – sabato e domenica compresa – al Triage del pronto soccorso di Crema, con l’obiettivo di individuare i casi infetti. Avevo conservato salde amicizie tra gli ex colleghi, così quando è risultato evidente che le dimensioni dell’epidemia stavano facendo esplodere il pronto soccorso, ho avuto un breve colloquio telefonico col direttore sanitario, per dire ‘se serve, io sono qui’. Il giorno dopo avevo già indosso il camice”.
“Poi, purtroppo, il Coronavirus ha colpito anche me: ho avuto una polmonite interstiziale limitata, senza compromissione respiratoria, e ho dovuto fare il mio periodo di quarantena. Ora sono guarito e mi sono rimesso a disposizione dell’Ospedale”.
Claudio Ceravolo in servizio presso l'Ospedale di Crema
Claudio Ceravolo non è l’unica persona di COOPI ad avere risposto alla crisi, anche se la sua storia ha attirato maggiormente l’interesse dei giornali come Vanity Fair e Vita.
Nell’ospedale di Legnano, lavora Paolo Viganò, 67 anni, responsabile del Reparto Malattie infettive e socio di COOPI. La cosa straordinaria è che Paolo, in prima linea contro il COVID, ha trovato il tempo per dare una mano alla nostra organizzazione.
“Il Covid-19 è arrivato imprevedibile come una slavina: il 21 febbraio eravamo tutti felici e contenti (per così dire), mentre il giorno dopo eravamo in Regione Lombardia, insieme ad altri esperti di igiene ed epidemiologia, per cercare di arginare un problema che in quel momento sembrava appartenere solo a Codogno.
Poi nel nostro ospedale di Legnano, abbiamo ricoverato il primario di Alzano Lombardo e da lì abbiamo iniziato ad intuire cosa sarebbe accaduto successivamente. Una settimana dopo, è esplosa l’emergenza a Bergamo. Il nostro ospedale, prima toccato marginalmente, è stato poi dedicato solo ai soggetti Covid-19”.
Paolo Viganò per COOPI
In tutto questo marasma, lei è riuscito a ritagliarsi del tempo per COOPI. Come ha fatto?
“Mi ha chiamato Ennio Miccoli, il direttore, dicendomi che, siccome Claudio Ceravolo era ammalato, serviva un punto di riferimento per i paesi (i coordinamenti paese), un esperto che potesse dirimere alcuni dubbi e consigliare sulla maniera più corretta di intervento. Da allora, ogni sera per più di dieci giorni, mi sono collegato con il dott. Hubert, responsabile medico in Niger. Mi sono reso conto che, con COOPI così come in corsia, quello che serve di più è parlare con qualcuno, confrontarsi, sentirsi rassicurati”.
Un’altra parte di COOPI che si è data molto da fare, su un altro fronte caldo di emergenza, è il gruppo dei volontari di Brescia. Tutti i volontari si sono attivati: chi per segnalare ai servizi sociali le persone in stato di bisogno, chi per acquistare e consegnare farmaci e beni alimentari ai vicini e agli anziani ammalati, chi per sostenere le mamme e i papà separati, chi per rientrare in servizio in ospedale dalla pensione – proprio come il nostro presidente Ceravolo.
Gruppo volontari COOPI Brescia
Anche tra i dipendenti e i collaboratori dell’ufficio di COOPI Milano, non mancano esempi di spontaneo attivismo. Clara Tripodi, dell’ufficio comunicazione e advocacy, prepara torte che fa arrivare in corsia attraverso i genitori che lavorano in ospedali “Covid”. Una collega, che vuole rimanere nell’anonimato, fa arrivare computer ricondizionati alle famiglie che ne hanno bisogno, per assicurare la didattica a distanza dei figli. Uberto Pedeferri, area manager di COOPI, si cala nei panni di “wash expert”, quando va a fare la spesa per l’anziana vicina di casa, la quale - per problemi di salute - può bere solo un tipo di acqua minerale.
E prendendo in prestito proprio le parole di Uberto, possiamo concludere che queste piccole storie sono lo specchio di quanto sta succedendo a livello macro: sono storie di solidarietà, di impegno civile non dichiarato, di sostegno reciproco che rendono l’Italia un posto migliore dove vivere.