6 giugno 2023
Questo articolo di opinione è stato originariamente pubblicato da The New Humanitarian.
Will Carter, Norwegian Refugee Council
Gedaref, Sudan
All'inizio di questa settimana, una conferenza di alto livello per la risposta umanitaria in Sudan e nella regione, ha visto i Paesi farsi avanti e impegnare collettivamente quasi 1,5 miliardi di dollari.
Questi impegni sono generosi, ma ammontano solo alla metà di quanto le Nazioni Unite ritengono sia necessario per far fronte ai bisogni umanitari nel Paese e nei suoi vicini. È troppo poco, vista la portata della catastrofe che si sta verificando.
La comunità internazionale deve rimanere concentrata sul Sudan, anche se il conflitto inizia a scomparire dai titoli dei giornali.
Da parte nostra, anche le organizzazioni umanitarie devono sostenere e potenziare le iniziative locali, collaborando con le persone che sono rimaste nel Paese in un vuoto di sostegno internazionale.
Nel frattempo, i donatori devono denunciare le lungaggini burocratiche che le autorità hanno posto sul nostro lavoro e chiederne la fine. In questo momento, le palesi restrizioni all'ingresso in Sudan per gli operatori umanitari e le forniture di aiuti stanno lasciando a piedi milioni di persone bisognose.
"Le bombe continuavano a cadere e i muri a tremare"
La guerra in Sudan è iniziata il 15 aprile e oppone il gruppo paramilitare Rapid Support Forces all'esercito regolare. Si stima che i combattimenti abbiano provocato lo sfollamento di 2,2 milioni di persone e che 24,7 milioni - più della metà della popolazione - abbiano bisogno di assistenza.
I bambini sono rimasti sotto i loro letti, ma un proiettile ha attraversato il muro a pochi centimetri da loro.
La capitale Khartoum e le principali città delle regioni del Darfur e del Kordofan sono state trasformate in brutali campi di battaglia. Interi insediamenti e quartieri sono in rovina, mentre i raid aerei, i saccheggi dilaganti e gli stupri consumano le vite dei civili.
Gli accordi di cessate il fuoco sono stati per lo più disattesi, soprattutto nel Darfur, e il conflitto è ulteriormente aggravato da un fallimento macroeconomico e monetario quasi totale e da uno Stato al collasso.
"Le bombe continuavano a cadere e i muri a tremare", mi ha detto di recente uno sfollato e genitore di Khartoum. "I bambini sono rimasti sotto i loro letti, ma un proiettile ha attraversato il muro a pochi centimetri da loro."
Ho incontrato lo sfollato nello Stato del Nilo Bianco. Nonostante si trovino a centinaia di chilometri a sud della capitale, hanno detto che i loro figli non riescono ancora a dormire tranquilli.
La carenza di fondi a Ginevra è in netto contrasto con l'instancabile coraggio dei sudanesi comuni che offrono rifugio e sostentamento alle famiglie fuggite dagli orrori della guerra, spesso anteponendo i bisogni degli altri a quelli di se stessi.
Nonostante la fuga dalle loro case, anche gli operatori umanitari sudanesi, anche gli operatori umanitari sudanesi sono stationo stati in prima linea nella risposta all'emergenza, pronti a contribuire e a fare la differenza.
"Racconti raccapriccianti" dal Darfur
In onore di coloro che hanno aperto le loro porte ai bisognosi, la comunità internazionale deve ora fare la sua parte, iniziando a sostenere e finanziare adeguatamente la risposta umanitaria.
Gli organismi internazionali e regionali devono inoltre condannare con forza, ai massimi livelli, le palesi violazioni del diritto umanitario internazionale in corso. Le parti in conflitto devono essere messe in guardia.
Un'attenzione particolare deve essere rivolta anche alla situazione del Darfur, la regione più occidentale del Sudan, che ha dovuto affrontare gravi conflitti dopo le atrocità di massa dei primi anni 2000.
Le nostre équipe in Darfur sono state irraggiungibili per settimane a causa di un blackout delle comunicazioni, ma i pochi colleghi che sono riusciti ad attraversare il vicino Ciad hanno raccontato storie terrificanti di combattimenti quotidiani, bombardamenti e incursioni nelle case.
Quello che temevamo dalla partenza della missione di pace ONU-Unione Africana dalla regione nel 2021 si sta ora verificando nello stato del Darfur occidentale: attacchi deliberati, su larga scala ed etnicamente mirati contro i civili.
Non fraintendetemi, il capitolo più oscuro del Darfur non è mai stato veramente chiuso. Ora siamo sull'orlo del precipizio di potenziali atrocità di massa che potrebbero ripetere lo straziante passato del Sudan.
Barriere agli aiuti
Affinché le agenzie umanitarie possano svolgere il proprio lavoro, è necessario avvicinarsi alle comunità che serviamo. Dopo l'evacuazione da Khartoum, gran parte della risposta degli aiuti internazionali è stata coordinata e incanalata attraverso Port Sudan.
Ma questa città orientale sul Mar Rosso dista oltre 2.000 chilometri da alcune delle zone più colpite del Paese. Dobbiamo creare nuovi hub in tutto il Sudan e garantire che gli aiuti arrivino a chi ne ha bisogno.
Abbiamo anche bisogno che i donatori si esprimano contro gli ostacoli burocratici che impediscono gli aiuti umanitari. Attualmente i visti sono limitati per gli operatori umanitari internazionali, il che limita le nostre possibilità di intervento sul campo.
Le autorità stanno inoltre imponendo Port Sudan come unico porto di ingresso per le forniture di soccorso. Ciò significa che gli aiuti umanitari entrano in un'area controllata esclusivamente da una parte del conflitto.
La guerra in Sudan ha appena due mesi di vita, eppure la stanchezza e il disinteresse internazionale si fanno già sentire. Il mondo deve invece tenere gli occhi aperti e rafforzare il proprio impegno nei confronti del popolo sudanese. La scelta è nostra e la storia ci giudicherà di conseguenza.
The New Humanitarian non è responsabile dell'accuratezza della traduzione.