14-03-2018 | di COOPI
Più acqua e allevamento nel Lago Ciad
La regione del Lago Ciad, al confine tra Niger, Nigeria e Camerun è teatro di una delle peggiori crisi umanitarie del mondo. Essa si trova ad accogliere le popolazioni in fuga dalle atrocità dello Stato islamico di Boko Haram: qui arrivano sfollati interni, rifugiati e persone che avevano lasciato questa zona e sono poi state costrette a rientrare per la presenza terroristica.
Fra i molti problemi vi è quello dell’accesso all’acqua e al cibo. «L’accesso all’acqua rimane difficilissimo» – spiega Fabio Castronovo, capo progetto di COOPI nel Paese. «Le persone del posto sono costrette a prenderla dal lago o da pozzi artigianali superficiali che non possono garantirne la purezza. I casi di tifo per questo motivo sono molteplici.»
COOPI porta avanti un programma integrato d’urgenza per favorire la sicurezza alimentare delle popolazioni più vulnerabili, finanziato da AICS (Agenzia Italiana di Cooperazione allo Sviluppo). Una delle attività di progetto prevede la costruzione di nuove perforazioni a norma e l’installazione di motopompe per uso irriguo. «A causa dell'aumento della popolazione, la pressione sull’accesso all’acqua e ai terreni fertili è forte e il rischio è che peggiori, provocando quindi sul lungo periodo nuovi conflitti e peggiorando anche il livello di insicurezza alimentare», continua Castronovo.
In Ciad, anche il problema della malnutrizione è grave e registra uno dei tassi regionali più alti del Paese. La malnutrizione acuta è del 12% mentre quella cronica è intorno al 36%. È stato condotto uno studio e, fra i primi problemi rilevati, vi era quello dell’accesso alla terra. «Abbiamo incontrato i capi villaggio, i responsabili amministrativi della zona e i capi cantone e siamo riusciti a stipulare degli accordi di locazione per aiutare le famiglie a migliorare le loro capacità produttive, dedicando un’attenzione particolare alla gestione della fertilità del suolo e alla salute degli animali. Abbiamo anche distribuito sementi di cereali, leguminose, di colture ortive e degli attrezzi per l'agricoltura.»
Un altro punto importante del progetto è stato il coinvolgimento delle donne che spesso sono capifamiglia nelle famiglie di sfollati e rifugiati. Abbiamo loro distribuito capre perché storicamente nel territorio sono le donne ad occuparsene mentre gli uomini si occupano dell’allevamento dei bovini. «Ci siamo impegnati nella formazione sulle tecniche di allevamento, nella vaccinazione e nella distribuzione di integratori alimentari.» Inoltre, al fine di perennizzare questa attività, la Delegazione dell'allevamento, con l'appoggio di COOPI e della ONG locale ALMP (Associazione di Lotta con la Malnutrizione e la Povertà), ha formato 9 ausiliari dell'allevamento che sono dislocati nei 17 villaggi coinvolti nel progetto. Questi ausiliari hanno la responsabilità di seguire le donne nelle tecniche di allevamento.
È stata anche avviata un’altra formazione con una nutrizionista per migliorare la diversificazione alimentare, aumentando il consumo di verdure e legumi. Il coinvolgimento delle donne nell’attività produttiva aiuta anche ad attribuire alle donne più potere dotandole di una fonte di sostentamento, di nuove conoscenze (e quindi di più potere), in una regione dove le donne sono emarginate. «Il cambiamento parte anche da qui».