28-05-2020 | di COOPI
RDC, protezione ambientale e sicurezza alimentare per una crescita sostenibile
Anni di conflitti armati a Sud della Repubblica Democratica del Congo (RDC) hanno non solo minacciato la sopravvivenza delle comunità locali ma anche alterato gli ecosistemi naturali del Parco Nazionale dell’Upema (PNU). Al fine di garantire la protezione ambientale del Parco Nazionale, dal 2017 COOPI implementa il “Progetto di lotta contro l’insicurezza alimentare e nutrizionale per le popolazioni rivierasche il Parco Nazionale dell’Upemba (PNU) nei territori di Mitwaba e Malemba N’Kulu” finanziato dall’Unione Europea.
Con l’obiettivo specifico di rinforzare i mezzi di sussistenza di 20 villaggi confinanti il Parco Nazionale, senza gravare o danneggiare l’ambiente naturale circostante, COOPI ha distributo sementi agricoli, capi di bestiame e kit per la gestione dei laghi per l’itticoltura di Tilapia Nilotica. Inoltre, ha organizzato giornate culturali nelle scuole, emissioni radio nei villaggi ed incontri porta a porta per sensibilizzare le comunità rurali sulla salvaguardia ambientale e sulla gestione sostenibile delle risorse naturali.
Campi coltivati Kisangi
Le attività sono state svolte grazie alla collaborazione di 9 Comitati Comunitari di Conservazione coordinati dall’Istituto Congolese per la Conservazione della Natura del Parco Nazionale in partenariato con COOPI (nei villaggi di Kyubo, Kalera, Manzombwe, Kasenga, Lukobwe, Mumbolo, Mizi e Kisandi). La creazione dei Comitati Comunitari di Conservazione ha favorito la nascita di nuovi lavori temporanei per i membri che li compongono, incentivandoli ad investire i loro guadagni nelle Casse di Risparmio gestite dalle Associazioni di villaggio per il risparmio e il credito oppure nel lancio di una nuova attività generatrice di reddito (piccolo commercio, semina dei campi etc.) in grado di offrire un’alternativa all’accaparramento delle risorse del parco nazionale.
Allevamento a Kasungeshi
Oltre ad incentivare le popolazioni rurali a valorizzare il capitale naturale locale, il progetto è riuscito a riabilitare i 15km della strada di accesso al parco. La riabilitazione di questa strada, le cui condizioni precarie sono state aggravate dai recenti eventi climatici estremi, è avvenuta attraverso il coinvolgimento attivo degli abitanti locali che hanno infatti beneficiato di un’opportunità di lavoro (seppur temporanea) più rispettosa dell’ambiente (in alternativa, ad esempio, alla più comune estrazione artigianale di minerali). In aggiunta, il direttore del Parco Nazionale, il colonnello Rodrigue Mugaruka Katembo, ha tenuto a precisare che la riabilitazione della strada ha anche migliorato l’accessibilità al parco, consentendo alle guardie parco dell’Istituto Congolese per la Conservazione della Natura di proteggere il parco contro il bracconaggio e permettendo alle popolazioni locali di trasportare i prodotti agricoli verso nuovi centri di vendita.
Equipe COOPI con il direttore del Parco Nazionale
Grazie a queste attività si è riusciti quindi ad offrire una crescita economica più duratura per i villaggi garantendo al tempo stesso un miglioramento delle condizioni della flora e della fauna del parco (ad esempio, il numero delle zebre è aumentato da 64 nel 2017 a 99 nel 2020). Ciò dimostra non solo che la sostenibilità ambientale e il progresso economico possono coesistere ma soprattutto che la prima è la precondizione per il secondo: un ambiente sano e sostenibile - seppur spesso sottovalutato - è fondamentale per garantire il diritto alla vita, al cibo, ad uno standard di vita adeguato, alla salute mentale e fisica, e ad un lavoro dignitoso. Infatti, ad oggi l’approccio di COOPI RDC nel connettere la sicurezza alimentare e la protezione ambientale, nonché i diritti umani con le prospettive di uno sviluppo economico eco-sostenibile, è stato vincente.
Parco nazionale dell'Upemba
Negli utlimi anni le popolazioni della RDC sono state private dei loro mezzi di sussistenza (agricoltura, allevamento, piccolo commercio etc.). Per questo motivo le popolazioni locali sono progressivamente ricorse alle risorse naturali del Parco Nazionale per soddisfare i propri bisogni primari. Attraverso attività come il bracconaggio, la pesca di frodo, la raccolta di verdure selvatiche, l’estrazione illegale di minerali (principalmente la casserite, materia prima per l’estrazione dello stagno e in quantità minore l’oro), l’abbattimento degli alberi per ricavare legna da ardere e carbone per usi domestici, e l’occupazione informale di alcune aree selvagge protette, tali popolazioni hanno aumentato così tanto la pressione sul Parco Nazionale fino ad alterarne gli equilibri della flora e della fauna.
Foto crediti: Vincenzo Altomare