Gran Chaco, medicina indigena: avviata la prima enciclopedia botanica
21-03-2019 | di COOPI

Gran Chaco, medicina indigena: avviata la prima enciclopedia botanica

Tosse, febbre, dolori muscolari? Se ti trovassi presso alcuni dei villaggi del Gran Chaco, per esempio, tra le comunità indigene Guaraní, Weenhayek, Tapiete, ti sarebbero somministrate cortecce, foglie o radici per guarire e alleviare questi sintomi.

Martha Carema, Oswaldo Tato e Bernardino Carema, tutti tra i 56 e gli 84 anni di età, sono tra gli esperti di piante medicinali che ci stanno accompagnando in un importante processo di catalogazione e raccolta di specie vegetali del Chaco, foresta che si estende per 650.000 kmq tra Paraguay, Bolivia ed Argentina.

La medicina tradizionale è un sapere in via di estinzione all’interno di queste comunità indigene, minacciate - come l’ambiente naturale del resto - dalla povertà estrema e dallo sfruttamento insostenibile delle risorse naturali.

Dal 2001, lavoriamo per garantire il rispetto e la valorizzazione dei diritti delle popolazioni indigene. Ancora adesso, continuiamo a farlo e, questa volta, rilanciando un sapere millenario sulle piante medicinali con il progetto “Per il nostro Gran Chaco sostenibile: partecipazione attiva a modelli di gestione territoriale per la conservazione ambientale integrata con una produzione sostenibile”, finanziato dall’Unione Europea.

Lo studio, attualmente in corso d’opera, consentirà indirettamente di identificare le tipologie di piante estinte o in via di sparizione, permettendo alla popolazione locale di sistematizzare e valorizzare la loro cultura ancestrale sulla medicina tradizionale, trasmessa perlopiù oralmente, e condividere le buone pratiche per la raccolta e la conservazione delle piante, contribuendo in ultimo alla conservazione della biodiversità.

Come sarà strutturata la selezione, raccolta e catalogazione delle piante medicinali? Lo abbiamo chiesto a Roberto Cavallini, responsabile COOPI in Bolivia:

Una prima fase dell’indagine è stata caratterizzata dalla presentazione delle principali ricerche etnobotaniche sull'uso delle piante medicinali, raccolte fino ad oggi, seguita dalla selezione di alcune figure chiave della comunità Samaguate, che ci avrebbero supportato durante l’intero processo, Martha, Oswaldo e Bernadino appunto.

Successivamente è stato stilato un elenco delle piante medicinali più utilizzate nel trattamento di diverse malattie (tra cui diarrea, tosse, febbre, mal di stomaco, dolori articolari e altri, insieme a sintomi legati alla tradizione popolare, come il malocchio). A questa fase, si sono aggiunte interviste semi-strutturate sulle proprietà medicinali, sulle parti morfologiche e sul metodo di preparazione e applicazione di ciascuna delle piante raccolte.

L’intera operazione di raccolta è avvenuta sotto lo sguardo attento dei nostri esperti indigeni. In totale sono state prelevate 35 specie botaniche diverse tra alberi, arbusti ed erbe di piante medicinali, nella loro fase riproduttiva, con fiori e frutti.

Gli esemplari vegetali sono stati successivamente sottoposti a un processo di pulitura e seccati tramite pressione manuale e poi grazie ad una seccatrice elettrica. Il procedimento si è svolto adagiando i campioni su un doppio foglio di giornale: la pianta è stata disposta con le foglie e i fiori ben distesi, in modo che si potessero essiccare correttamente e se ne potessero conservare le peculiarità morfologiche.

Una volta ultimata l’essicazione al sole, le piante medicinali sono state trasferite all'Erbario Nazionale della Bolivia nella città di La Paz, dove saranno identificate e conservate in questi mesi per scopi scientifici", conclude Roberto Cavallini.

La ricerca non è ancora terminata: saranno infatti necessari ulteriori sopralluoghi presso le comunità indigene per raccogliere altre informazioni.

I dati saranno infine raccolti in un libro e accompagnati da elementi scientifici, quali il nome botanico della pianta, le sue proprietà farmacologiche comprovate e altre nozioni.

Un aspetto altrettanto importante dell’indagine sarà la condivisione dei dati raccolti con le comunità indigene locali, attraverso, in primis, la loro diffusione nelle scuole. Questa divulgazione permetterà ai giovani di salvaguardare e tramandare le conoscenze sulla medicina tradizionale.