Sudan. La crisi dimenticata più grave al mondo
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10-04-2025 | di COOPI

Sudan. La crisi dimenticata più grave al mondo

«Quando è scoppiata la guerra, abbiamo dovuto affrontare grandi sofferenze per ottenere cibo e acqua potabile. La mia famiglia doveva comprarla dai carretti trainati dagli asini, ma era molto costosa e non sufficiente: consumavamo solo una tanica da 20 litri al giorno. Quando abbiamo finito i soldi, abbiamo smesso di lavarci e di lavare i vestiti». A parlare è Abu Hassan, abitante della località di Tawilla in Sudan, che all’inizio del conflitto è stato costretto a fuggire dal suo villaggio con la moglie e i 6 figli. «Abbiamo lasciato le nostre case, insieme ad altre famiglie, e abbiamo percorso 61 km a piedi, senza acqua né cibo. Dopo due giorni di sofferenza sulla strada, siamo arrivati a El Fasher, dove abbiamo trovato molte persone sfollate nella scuola di Tombasi e abbiamo deciso di restare». Abu Hassan è una delle 125 milioni di persone che COOPI - Cooperazione Internazionale, ha supportato in sei decenni di attività in 70 Paesi del Mondo, con più di 3mila progetti e l’impiego di 5.400 operatori espatriati e 68mila operatori locali.

Dallo scoppio della guerra, il 15 Aprile 2023, in Sudan oltre 12 milioni di persone risultano sfollate e tra queste quasi 4 milioni hanno cercato rifugio oltre confine, in paesi come Egitto, Ciad e Sud Sudan, che già affrontano forti pressioni umanitarie. Quasi un terzo della popolazione sudanese è sfollato e la metà di loro sono bambini. Ad aggravare il quadro, si aggiungono la crisi alimentare, che colpisce 24 milioni di persone, e l’emergenza idrica, che costringe 270mila persone, inclusi 130mila bambini, ad avere difficoltà a reperire acqua potabile. Anche i servizi di base sono compromessi: nelle zone più colpite dal conflitto, solo il 25% delle strutture sanitarie sono rimaste operative, mentre la mancanza di acqua e le condizioni igieniche precarie stanno favorendo la diffusione di malattie come colera, dengue e malaria. «In Sudan è in corso una delle più gravi emergenze umanitarie del nostro tempo. - sottolinea Ennio Miccoli, Direttore di COOPI Cooperazione Internazionale, organizzazione umanitaria presente nel Paese da oltre vent’anni. – Nonostante questo, in un contesto globale segnato da conflitti ad alta intensità, quello sudanese è rimasto ai margini dell’attenzione internazionale, pur avendo effetti devastanti su scala nazionale e regionale.»

In due anni il conflitto ha causato quasi 29mila vittime, di cui 7.500 civili, e ha generato un’escalation drammatica di violenze contro i minori, con un aumento del 480% delle gravi violazioni sui bambini.

L'intervento di COOPI in Sudan

Nel 2024, gli operatori di COOPI hanno realizzato 10 progetti a sostegno della popolazione, raggiungendo quasi 150 mila persone negli Stati del Nord Darfur, di Gedaref (dove si trova il campo rifugiati di Tuneydba e Um Raquba), di Khartoum, del Nord e del Fiume Nilo. «Siamo presenti in Sudan dal 2004 e in 21 anni abbiamo portato avanti 119 progetti, sostenendo 4milioni e 200 mila persone. In questo momento di emergenza, abbiamo riorganizzato la nostra presenza nel Paese per rispondere in modo più efficace alla crisi in corso - spiega Ennio Miccolici siamo concentrati soprattutto nel garantire acqua potabile e nel distribuire beni di prima necessità, come contenitori per l’acqua, utensili da cucina e materiali per costruire ripari temporanei, che sono indispensabili per la vita nei campi profughi». 

In particolare, nel distretto di Mellit, dove vivono 50mila persone sfollate ed è in corso una carestia, COOPI ha avviato il progetto "Azione precoce di risposta integrata alla crisi alimentare nello Stato del Nord Dafur”, con l’obiettivo di garantire l’accesso a sementi agricole e acqua potabile. L’organizzazione ha, inoltre, distribuito capre alle famiglie vulnerabili, in particolare quelle a guida femminile tra gli sfollati interni.

«Nonostante le difficoltà di accesso a Mellit, una zona fortemente isolata, COOPI, insieme ai suoi partner locali, ha continuato a fornire aiuti umanitari, raggiungendo sia le persone sfollate che le comunità ospitanti, duramente colpite dal conflitto e dalla carestia». – sottolinea Miccoli.

COOPI, 60 anni di impegno nelle crisi invisibili

Quella in Sudan è solo una delle 50 guerre attive nel 2024, anno che ha visto un incremento del 25% degli episodi violenti rispetto al precedente e oltre 240mila vittime, il numero più alto registrato dal 2019.  Nei primi tre mesi del 2025 sono già morte, a causa di guerre e conflitti, 50mila persone e si prevede che le vittime continueranno ad essere più di 20mila al mese, mentre milioni di persone vivranno in situazioni di grave emergenza e saranno costrette ad abbandonare le proprie case.  «Attualmente sono 305 milioni le persone che nel mondo hanno bisogno di aiuto umanitario, ma le loro necessità restano spesso inascoltate, se non del tutto sconosciute – sottolinea Ennio Miccoli – Ci sono molte aree del mondo in cui la violenza e le crisi umanitarie rimangono nell’ombra. Paesi come Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Ciad, Repubblica Centrafricana e Libano affrontano quotidianamente devastazioni, carestie ed emergenze umanitarie, con un impatto devastante».

COOPI, di cui quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario, è presente in 33 paesi del Mondo e attua più di 200 progetti di sviluppo ed emergenza. «Con COOPI da 60 anni siamo al fianco delle popolazioni colpite dalle crisi umanitarie, anche quelle ‘invisibili’ – sottolinea Ennio Miccoli, Direttore dell’organizzazione umanitaria - Il nostro approccio pragmatico è ciò che permette all’organizzazione di accompagnare le persone, di supportarle e di collaborare con loro da vicino, essendo presenti nei Paesi, in alcuni casi da decenni. Il nostro obiettivo è accompagnare le comunità verso percorsi di sviluppo: anche quando vengono interrotti da crisi improvvise, COOPI rimane al loro fianco, come facciamo in Repubblica Centrafricana, dove siamo presenti da 51 anni, o in Repubblica Democratica del Congo, dove operiamo dal 1977. Realizzare tanti progetti in così tanti Paesi è significativo per questa ragione: per generare, progetto dopo progetto, un impatto positivo sempre maggiore e per un numero via via crescente di persone e di comunità».